Oggetto: opposizione all’esecuzione
Conclusioni: come da verbale dell’udienza del XXX
Con atto di citazione ritualmente notificato, XXX, ha proposto opposizione all’esecuzione avverso la cartella esattoriale n. XXX, notificata all’opponente in data XXX per l’importo di €. XXX, deducendo in merito alla omessa notifica del titolo esecutivo legittimante l’iscrizione a ruolo costituito dalla sentenza della Corte di Appello.
In forza dell’indicato motivo di opposizione, XXX ha chiesto dichiararsi l’illegittima ed irrituale emissione del ruolo n. XXX da parte dell’ente impositore XXX e della conseguente cartella di pagamento con vittoria delle spese di lite.
Instaurato ritualmente il contradditorio, si è costituita in giudizio la XXX che ha resistito e contestato la pretesa attorea, in quanto infondata in fatto ed in diritto, chiedendo la condanna della controparte alle spese di lite e ai sensi dell’art. 96, commi 1 e 3, c.p.c.
Si è costituita, altresì, YYY eccependo preliminarmente la carenza di legittimazione passiva in capo alla stessa in ragione del fatto che il vizio di notifica del titolo esecutivo dedotto dall’opponente non riguarderebbe l’attività svolta dall’agente della riscossione, ma del solo ente impositore ossia della XXX; nel merito ha fatto proprio quanto dedotto dalla XXX.
Nel corso del giudizio, disattesa l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e rigettate le istanze istruttorie di parte opponente, la causa è stata trattenuta in decisione, sulle conclusioni delle parti all’udienza del XXX con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
L’opposizione non è fondata.
È opportuno ricostruire sinteticamente la vicenda come emerge dagli atti di causa.
La XXX ha emesso in data XXX l’ordinanza-ingiunzione n.X, notificata il XXX, con cui aveva ordinato a XXX il pagamento della somma di € XXX, oltre spese di notifica, a titolo di sanzione amministrativa per la contestata violazione dell’art. 48, co. 1, L. R. n. XXX (doc. 7).
La citata ordinanza-ingiunzione veniva impugnata da XXX con ricorso in opposizione a sanzione amministrativa ex art. 22 l. 689/1981 e succ. modd. ed int. definito
in primo grado dal Tribunale con sentenza n. XXX (doc. 8 del fascicolo di parte convenuta) che, accogliendo il ricorso, annullava l’ordinanza-ingiunzione opposta per intervenuta prescrizione del diritto alla riscossione delle somme ingiunte, sul presupposto che il verbale di accertamento del XXX era stato notificato il XXX e che l’ordinanza di ingiunzione n. XX era stata notificata il XX, dunque oltre il termine quinquennale previsto dall’art. 28, co. 2, Legge 689/81.
Avverso tale sentenza la XXX aveva proposto impugnazione innanzi alla Corte di Appello, che con sentenza n. XXX (doc. 1 del fascicolo della convenuta XXX) accoglieva l’appello condannando XXX al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio sostenute dalla XXX liquidate in complessivi € XXX per compensi e in € XXX per spese, (oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cap come per legge) e a restituire all’appellante quanto da questi corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado.
La sentenza di appello, munita di formula esecutiva apposta il XXX, è stata notificata a mezzo di servizio postale a XXX in data XXX unitamente all’atto di precetto con cui veniva intimato il pagamento della somma di euro XXX a titolo di spese legali portate dalla citata sentenza (doc.1 del fascicolo di parte convenuta); al contempo, la XXX iscriveva a ruolo gli importi indicati nell’ordinanza ingiunzione a titolo di sanzione amministrativa portati dalla cartella di pagamento nXXX emessa da XXX, Provincia di XXX oggetto della odierna opposizione.
In via preliminare, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da XXX è infondata. Ed infatti, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, quando il contribuente impugna una cartella esattoriale emessa dall’agente della riscossione formulando contestazioni tanto riconducibili alla opposizione ex art. 615 c.p.c. che alla opposizione ex art. 617 c.p.c. la domanda può essere formulata nei confronti di XXX, che assume la posizione di legittimato passivo (Cass. civ. n. 14125/2016; Cass. 1985/2014; Cass. civ. n. 12385/2013). In ogni caso ove l’agente della riscossione deduca di aver posto in essere atti esecutivi su richiesta dell’ente impositore, tale circostanza non potrà incidere sulla posizione processuale dell’opponente ma assumerà rilevanza esclusivamente nei rapporti interni tra ente impositore e agente della riscossione (Cass. civ. n. 24678/2018; Cass. civ. 2570/2017).
Ciò posto, passando al merito, con l’unico motivo di opposizione parte attrice si duole della omessa notifica della sentenza n. XXX della Corte di Appello, quale titolo esecutivo legittimante l’iscrizione a ruolo.
Nello specifico, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c. deduce di non aver rinvenuto detto documento ed anche la moglie di XXX, cui controparte ribadisce di avere consegnato il plico tramite l’agente postale, disconosce la circostanza.
Tale motivo non merita accoglimento.
Con la comparsa di risposta la XXX ha prodotto, altresì, la sentenza della Corte di Appello n. XXX, la formula esecutiva apposta alla stessa sentenza, la relata di notifica postale e due avvisi di ricevimento (rispettivamente n. 63 e 64). In particolare, dalla documentazione in atti si ricava che la notifica si è ritualmente perfezionata ex art. 149 c.p.c. nei confronti di XXX con la consegna del plico alla moglie in data XXX. Ed infatti, la citata sentenza di appello è stata notificata a mezzo posta all’indirizzo di residenza di XXX in XXX e il relativo plico è stato consegnato a XXX, coniuge dell’attore, come risulta dai due avvisi di ricevimento entrambi sottoscritti dalla moglie del XXX in data XXX.
Sempre sul punto della mancata notifica del titolo esecutivo, con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., l’attore sostiene che la moglie del XXX avrebbe disconosciuto la circostanza di aver ricevuto in consegna il suddetto plico.
Giova rammentare che secondo il costante orientamento della Suprema Corte in tema di notifica a mezzo posta, l’avviso di ricevimento, il quale è parte integrante della relazione di notifica, ha natura di atto pubblico che – essendo munito della fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c. in ordine alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza – costituisce, ai sensi dell’art. 4, comma 3, I. n. 890 del 1982, il solo documento idoneo a provare sia l’intervenuta consegna del plico con la relativa data, sia l’identità della persona alla quale è stata eseguita e che ha sottoscritto l’atto» (salvo che, ai sensi del successivo comma 4, la data di consegna non risulti apposta o sia comunque incerta). Ne consegue che la parte, qualora intenda dimostrare la non veridicità delle risultanze dell’avviso di ricevimento, deve proporre querela di falso – anche se l’immutazione del vero non sia ascrivibile a dolo ma soltanto ad imperizia, leggerezza o a negligenza del pubblico ufficiale – a meno che dallo stesso contesto dell’atto non risulti in modo evidente l’esistenza di un mero errore materiale compiuto da questi nella redazione del documento il quale ricorre nel caso di apposizione di data inesistente o anteriore a quella della formazione dell’atto notificato o non ancora maturata (Corte di cassazione,, Sez. VI-2, n. 8082 del 2019; Rv. 653384-01; Sez. II, n. 8500 del 2005; Sez. II, n. 8032 del 2004; conf. Sez. I, n. 24852 del 2006; Sez. VI-5, n. 29022 del 2017, Rv. 646433-01).
Passando alla disamina del motivo di censura si rileva che le allegazioni formulate dall’attore risultano del tutto generiche, indeterminate e contraddittorie (con la memoria di replica la mancata consegna è riferita alla cartella esattoriale e non più alla sentenza di appello, testualmente “atteso che la coniuge dell’opponente non ricorda di avere mai ricevuto la consegna dell’atto di cui si discute, ossia della cartella esattoriale e/o avvisi similari”). Nel caso in esame, infatti, parte convenuta ha affermato che la moglie dell’opponente non ricordava di aver ricevuto in consegna il plico, senza che venisse effettuato alcun disconoscimento espresso della sottoscrizione apposta dalla moglie del XXX sull’avviso di ricevimento; né è stata espressamente disconosciuta la conformità della fotocopia prodotta dalla convenuta rispetto all’originale dell’avviso di ricevimento, in modo da consentire a questo Tribunale di poter comprendere sia il documento che intendeva contestare sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale così onerando la controparte di produrre l’originale in giudizio.
Ne consegue che trova applicazione l’art. 2719 c.c. a norma del quale le copie fotografiche delle scritture che non siano espressamente disconosciute hanno la stessa efficacia delle autentiche. Dovendo riconoscersi alla copia efficacia probatoria pari a quella dell’originale, la mancata produzione dell’originale del documento non impediva né esonerava l’attore dall’onere di proporre la querela, atteso che questa avrebbe ben potuto essere proposta avverso la fotocopia non disconosciuta, salvo «il grado di probatorietà che gli accertamenti in tal caso possono raggiungere» (Corte di cassazione, Sez. I, n. 5350 del 1996, Rv. 498033-01) e salva la possibilità di acquisire nel relativo giudizio l’originale, ove ritenuto necessario in relazione alla natura del falso dedotto (Corte di cassazione, Sez. III, n. 32219 del 2018, Rv. 651950-01).
Nel caso in esame, inoltre, un’ulteriore conferma della conoscenza della sentenza di appello la si ricava dalla mail invita dal difensore del XXX al legale della XXX con cui chiedeva una dilazione del pagamento delle spese legali comminate con la sentenza di appello (doc. 1 bis del fascicolo di parte convenuta).
Alla luce di quanto detto, l’opposizione deve essere respinta essendo stata fornita la prova della notifica della sentenza n. XXX della Corte di Appello.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ex DM 55/2014 sia per la fase sospensiva sia per la fase di merito, tenuto conto del valore della causa e delle attività espletate, delle questioni fattuali e giuridiche affrontate, nonché delle spese risultanti dal fascicolo (contributo unificato).
Non sussistono i presupposti per la condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, comma 1, c.p.c. non risultando provate la mala fede e la colpa grave né eventuali danni conseguiti all’iniziativa giudiziaria di controparte; né sussistono i presupposti per la condanna dell’opponente ex art. 96, comma 3 c.p.c.: ad avviso di questo Tribunale, si ritiene di condividere quell’orientamento giurisprudenziale per cui il giudice può d’ufficio condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ma tale determinazione presuppone l’accertamento della esistenza di una condizione soggettiva di mala fede (i.e. la consapevolezza dell’infondatezza della propria domanda) o colpa grave (i.e. la carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di tale consapevolezza) (cfr. Cass. civ. n. 9912/2018; Cass. civ. n. 27534/2014). Ed infatti, se si prescindesse dai predetti requisiti il solo agire o resistere in giudizio sarebbe sufficiente a giustificare la condanna, soluzione che pare in contrasto con il parametro dell’art. 24 Cost.