Le associazioni sono enti costituiti da più persone per il raggiungimento di scopi ben definiti, di regola altruistici e ideali.
Sono due le grandi tipologie di associazioni:
- a prima, quella riconosciuta, (che trova la propria disciplina generale negli artt. da 14 a 35 c.c.) è più impegnativa, perché garantisce benefici e un riconoscimento istituzionale. È caratterizzata dal possesso di personalità giuridica, che la rende entità diversa e autonoma rispetto agli associati. L’atto costitutivo ha, infatti, proprio la funzione di dar vita alla persona giuridica; lo statuto, invece, quale atto complementare al primo, ha lo scopo di regolarne l’ordinamento, l’amministrazione e il funzionamento. Nonostante questa materiale separazione entrambi formano un atto unitario. È, quindi, il tipo di associazione che ha chiesto ed ottenuto il riconoscimento ai fini del quale occorre dimostrare di avere un patrimonio sufficiente al raggiungimento dello scopo e la costituzione con atto pubblico.
L’associazione riconosciuta, quindi, è un centro di imputazione di diritti e obblighi totalmente distinto dagli associati e ha anche piena autonomia patrimoniale. Questo vuol dire che i creditori dell’associazione possono rivalersi solo sul patrimonio di quest’ultima, senza intaccare il patrimonio del presidente o dei membri del consiglio direttivo. Queste Associazioni, infatti, ottengono, con il riconoscimento, la possibilità di avere la capacità di agire in proprio e quindi di acquisire autonomia patrimoniale; pertanto, nel caso in cui l’Associazione abbia contratto obbligazioni, la stessa risponderà esclusivamente con il proprio patrimonio. Ciò comporta un’autonomia patrimoniale perfetta tra il patrimonio dell’associazione e quello personale dei singoli associati, nonché degli altri soggetti. Gli associati risponderanno, quindi, delle sole obbligazioni dell’ente nei limiti della quota associativa versata e degli ulteriori contributi elargiti e non potranno essere richiesti del pagamento dei debiti contratti dall’associazione dai creditori di quest’ultima. A loro volta, i creditori personali dei singoli associati, non potranno pretendere dall’associazione il soddisfacimento delle loro ragioni.
- la seconda, quella non riconosciuta, (artt. 36 e segg. del codice civile) è la più agile e diffusa; è il tipo di associazione che non ha chiesto il riconoscimento o che non lo ha ottenuto. Rappresenta quindi un soggetto giuridico, distinto dai singoli associati che la compongono: ha, infatti, un proprio fondo comune (art. 37 c.c.), una propria organizzazione, regolata dagli accordi degli associati e, in mancanza, dalle norme dettate per le associazioni riconosciute se compatibili.
L’atto da cui nascono gli enti non riconosciuti è un contratto (atto costitutivo), definito “plurilaterale con comunione di scopo”, mediante cui altri associati possono accedere anche in un momento successivo alla costituzione dello stesso. La costituzione di tale associazione non prevede particolari oneri di forma: né l’atto pubblico (rimanendo priva di personalità giuridica), né tanto meno l’atto scritto (necessario soltanto relativamente a conferimenti del godimento di beni immobili o di altri diritti immobiliari per un tempo eccedente i nove anni).
La redazione e la registrazione (presso un qualsiasi ufficio dell’Agenzia dell’Entrate) dell’atto costitutivo e dello statuto segna la nascita dell’associazione: in tal modo l’associazione è, infatti, regolarmente costituita e può beneficiare di tutte le agevolazioni fiscali o dei finanziamenti previsti dalla legge e dalla normativa tributaria a favore degli enti no-profit.
Le Associazioni non riconosciute rispondono delle obbligazioni contratte sia con il proprio patrimonio (definito, non a caso, fondo comune), sia con i beni personali degli amministratori e di chi abbia agito in nome e per conto dell’Associazione. Invero, per eventuali debiti, risponde prima di tutto il patrimonio dell’associazione e, solo se questo non è sufficiente, rispondono il presidente e i membri del Consiglio Direttivo con il loro patrimonio.
Si assiste, quindi, in questo caso ad una discreta separazione tra il patrimonio dell’ente e quello dei suoi associati (c.d. autonomia patrimoniale imperfetta) in quanto per i debiti dell’ente risponde in primo luogo il fondo comune dell’associazione e poi coloro che hanno convenuto ed effettuato l’operazione in nome e per conto dell’ente.
Nei due casi si parla, pertanto, rispettivamente di autonomia patrimoniale perfetta per le Associazioni riconosciute e di autonomia patrimoniale imperfetta per le Associazioni non riconosciute. È chiaro, quindi, come l’effetto proprio del riconoscimento renda patrimonialmente autonomo l’Ente associativo per il fatto di limitare i propri obblighi al solo patrimonio dell’Associazione, pur avendo come elemento fondamentale una pluralità di persone, distinguendosi dagli Enti non riconosciuti in cui invece la stessa pluralità di persone risponde in termini patrimoniali personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte.
La differenza tra le due categorie sta, quindi, nella modalità di costituzione, nel riconoscimento o meno della personalità giuridica e nel livello di responsabilità degli amministratori.
Le associazioni, riconosciute e non riconosciute, possono poi avere ulteriori caratteristiche, che le qualificano dal punto di vista delle attività, come, ad esempio, essere sportive dilettantistiche, onlus, di promozione sociale, di volontariato.
Ciò posto, più nel dettaglio, oggetto del presente elaborato saranno le associazioni sportive non riconosciute e gli eventuali profili di responsabilità fiscale del presidente e del legale rappresentante.
- Le Associazioni sportive dilettantistiche (A.S.D.) non riconosciute
Le associazioni sportive si suddividono in tre categorie:
- le associazioni sportive dilettantistiche senza personalità giuridica;
- le associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica;
- le società sportive dilettantistiche costituite nella forma di società di capitali e di società cooperative.
Un’A.S.D. rappresenta un’organizzazione di più persone che decidono di associarsi stabilmente per realizzare un interesse comune, consistente nella gestione di una o più attività sportive, senza scopo di lucro e per finalità di natura ideale, cioè praticate in forma dilettantistica. Rappresenta la forma di associazionismo più elementare e più utilizzata dagli enti che svolgono attività sportiva dilettantistica. Ha una gestione amministrativa e contabile snella. Di fatto, è quella giudicata dall’Amministrazione finanziaria ad alto rischio di evasione in quanto si tratta talvolta di uno schermo per nascondere l’interposizione in una reale attività commerciale.
Come suddetto, in questa sede, sarà oggetto di un’analisi più approfondita, l’associazione sportiva dilettantistica non riconosciuta Occorre chiarire che nella maggior parte dei casi, infatti, anche le associazioni sportive non riconosciute ricorrono alla redazione dell’Atto costitutivo e dello Statuto (che è opportuno registrare presso l’Ufficio del Registro dell’Agenzia delle Entrate per ottenere il codice fiscale, tramite il modello AA5/6), necessario per operare e avere relazioni con altri enti, associazioni o individui.
Inoltre, quando l’associazione intende effettuare attività commerciale (non prevalente) è tenuta anche ad aprire la partita IVA tramite il modello AA7/10. Nei casi in cui, invece, si intenda sfruttare tutte le agevolazioni fiscali previste dalla normativa in materia, è necessaria la presentazione del modello EAS ovvero quel modello che consente di trasmettere all’Agenzia delle Entrate tutti i dati e le informazioni rilevanti ai fini fiscali.
Per le associazioni sportive dilettantistiche i libri contabili e sociali non sono obbligatori. Tuttavia, la loro corretta tenuta è molto utile sia nei rapporti interni, che in quelli esterni, poiché consente di mettere nero su bianco tutti gli aspetti fondamentali della vita associativa. In linea di principio si ritiene debbano essere tenuti:
- il libro soci;
- il libro del consiglio direttivo.
Non bisogna dimenticare che, per ottenere lo status di “associazione o società sportiva” e per poter ottenere il beneficio delle agevolazioni fiscali, è obbligatoria l’iscrizione nell’apposito Registro nazionale tenuto dal CONI, che è l’organismo che organizza e promuove lo sport a livello nazionale. Il CONI provvede a trasmettere, ogni anno, all’Agenzia delle entrate, un elenco delle associazioni e delle società iscritte al Registro.
- La responsabilità degli amministratori e del presidente di una associazione non riconosciuta a seguito di accertamenti tributari: ex multis Cass. Civ. sent. nn.16344/2008; 19486/2009; 20485/13, 12473/2015
Come per qualsiasi altro soggetto giuridico, anche la vita di un’associazione sportiva dilettantistica è composta da innumerevoli rapporti con terzi, forieri di una quantità di contratti che sono fonte di obbligazioni di varia natura. Trattandosi di una forma associativa, si pone, quindi, il problema di chi sia la responsabilità di tali obbligazioni e su chi ricadano le conseguenze in caso di inadempienza o risvolti negativi.
La questione della responsabilità per i fatti compiuti dall’associazione è, infatti, particolarmente rilevante soprattutto per i soggetti legati alle associazioni sportive non riconosciute, i quali potrebbero essere chiamati a rispondere personalmente (e con il loro patrimonio) delle inadempienze dell’ente, mentre per le società sportive (o, comunque, per le associazioni riconosciute o con personalità giuridica) le conseguenze della responsabilità sono limitate al patrimonio sociale e, quindi, non si pone il problema di una responsabilità personale dei rappresentanti delle stesse.
Orbene, in ordine alla responsabilità delle persone fisiche e alle attività gestorie concretamente svolte in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, è opportuno ribadire che i soggetti che hanno agito in nome e per conto della medesima sono responsabili personalmente e solidalmente con l’ente degli obblighi o di eventuali debiti contratti con i terzi, indipendentemente dal fatto che siano titolari di cariche sociali.
Come già rilevato, infatti, l’associazione non riconosciuta, anche se sfornita di personalità giuridica, è tuttavia considerata dall’ordinamento come centro di imputazione di interessi e di rapporti giuridici.
Ciò posto, semplificando, laddove non vi sia una responsabilità da fatto illecito, la responsabilità dell’associazione è di tipo contrattuale, laddove per contrattuale non si intende quella nascente dalla sottoscrizione di un contratto, ma, più semplicemente, quella derivante dall’assunzione di un qualsiasi tipo di obbligazione verso un terzo.
Più specificamente, in caso di inadempimento, l’art. 38 c.c. prevede che:
<<Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune.
Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente [1292 ss.] le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione>>.
Ebbene, è evidente che questa forma di responsabilità solidale e personale degli associati che concretamente svolgono attività negoziale per conto dell’associazione, risponde ad un’esigenza di tutela dei terzi/creditori che entrano in contatto con l’associazione stessa: infatti, la mancanza di ogni forma di controllo e di pubblicità impedisce agli stessi di verificarne l’effettiva consistenza patrimoniale. Invero, << (…) la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare proprio l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone (…) >>. (Corte di Cassazione, Ordinanza n. 12473/2015).
Conseguentemente, i terzi che abbiano subito un qualunque tipo di danno quale conseguenza diretta dell’inadempimento dell’associazione, potranno soddisfare le proprie pretese rivolgendosi sia al patrimonio dell’associazione, che alle “persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”, i quali rispondono in via personale ed illimitata col proprio patrimonio.
Si deve precisare, però, che la responsabilità di chi ha agito per l’associazione è accessoria e concorre con quella dell’ente, con la conseguenza che può essere utilizzata dal terzo, in via solidale, solo se sussiste la responsabilità dell’associazione stessa. Tale responsabilità personale e solidale si configura non come un debito proprio, ma come una forma di fideiussione ex lege disposta a tutela dei terzi che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro. Invero, come chiarito dalla suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 12473/2015 << (…) tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia “ex lege”, assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass. 25748/08, 29733/11)>>.
Alla luce di tanto, è di fondamentale importanza cercare di capire più nel dettaglio in quali casi e quali soggetti siano chiamati a rispondere di tale responsabilità in via solidale con l’ente.
Invero, è fondamentale chiarire se l’art. 38 c.c. faccia riferimento esclusivamente al Presidente o al legale rappresentante o anche agli altri protagonisti della vita associativa.
Invero, i rappresentanti operano sulla base di un rapporto di “immedesimazione organica” che li lega all’associazione in modo tale che ogni atto da loro compiuto in nome e per conto dell’associazione venga ad essa immediatamente imputato. La Corte di Cassazione, infatti, ha avuto modo di approfondire proprio il tema della responsabilità personale degli amministratori prevista dall’art. 38 del codice civile, di fatto, ha assolutamente negato l’automatismo della responsabilità del presidente e del rappresentante legale. È pacifico, infatti, che soggetti diversi dal presidente, possano svolgere in virtù di mandato o di altro rapporto interno (verbali direttivo, procura, delega, dipendente ecc.) attività riferibile all’associazione e quindi contrarre obbligazioni di cui sia chiamato a rispondere il mandante (Presidente) e attraverso costoro l’associazione stessa in base al disposto dell’art. 38 c.c, I co.
Invero, in ordine al tema d’indagine correlato alla responsabilità del soggetto che ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, si è ormai stratificata una giurisprudenza della Cassazione la quale ha chiarito che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Le responsabilità per le operazioni compiute per conto dell’associazione sono attribuite solo verso coloro che in concreto abbiano agito in nome di essa. Si deduce, quindi, che la responsabilità del presidente non derivi in via automatica dalla sua carica e non sussista laddove le obbligazioni siano state contratte da altri soggetti che abbiano agito in via autonoma.
Più specificamente, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19486/2009 ha chiarito che <<La responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, ne consegue, altresì, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, (cass, civ. sentt. nn. 5089 del 1998, n. 8919 del 2004), non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente” (cfr., ex multis, Cass. civ. sentt. nn. 2471 del 2000, 26290 del 2007 e n. 257- 48 del 2008) >>.
In buona sostanza, gli ermellini, hanno voluto cristallizzare il principio secondo il quale, nelle associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 cod. civ. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione, non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto. Principio che, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte (v. C. Cass. 16344/08), si applica anche ai debiti di natura tributaria.
Invero, <<(…) Il principio suesposto, in riferimento alla responsabilità solidale, ex articolo 38 c.c., di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell’ente, la concreta attività negoziale riferibile all’associazione stessa, e’ stato – di poi – ritenuto da questa Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass. 16344/08, 19486/09), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Si è – per vero – rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude, peraltro, che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. Ciò nondimeno, il richiamo all’effettività dell’ingerenza – implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione”, contenuto nell’articolo 38 c.c. – vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura – Cass. n. 5746/07“. (Corte di Cassazione, Ordinanza n. 12473/2015).
Pertanto, ai fini della responsabilità del rappresentante di un’associazione non riconosciuta, non rileva la carica rivestita al momento dei fatti, bensì l’attività negoziale posta in essere e la circostanza che i terzi abbiano fatto affidamento sulla sua solvibilità e sul suo patrimonio.
Nello stesso senso, i giudici di legittimità, si sono espressi anche attraverso le recenti sentenze nn. 20485/13, 12473/2015.
Per la sezione specializzata della Suprema Corte, quindi, la responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 c.c., non è collegata alla titolarità formale della rappresentanza dell’ente, ma si fonda sull’attività concretamente svolta dalla persona che ha agito. Nel merito della questione va, quindi, puntualizzato che l’articolo 38 del c.c. non qualifica in via diretta la responsabilità in capo al presidente o rappresentante legale dell’associazione, ma mira ad identificare sempre e comunque «chi agisce in nome e per conto dell’associazione».
Per cui anche se, in linea di principio, le persone che possono giuridicamente spendere il nome dell’ente sono il presidente e in alcuni casi il consiglio direttivo, in relazione ai singoli casi concreti l’attribuzione di responsabilità potrebbe non sempre essere così chiara e immediata e finire con il coinvolgere anche altri attori della vita associativa.
Ne consegue, che per affermare la responsabilità personale e solidale del rappresentante legale di un’associazione non riconosciuta, da parte dell’ente impositore, non è sufficiente rinviare alla carica sociale rivestita dal soggetto, ma occorre accertare l’avvenuto svolgimento di atti concreti di gestione e di definizione dei rapporti tributari (Cass. civ., sez. trib., 17 giugno 2008, n. 16344; 10 settembre 2009, n. 19488 e n. 19486).
Pertanto, sul piano processuale, posta l’insufficienza della sola prova della carica rivestita da un soggetto all’interno dell’ente (Cass. civ., sez. lav., 4 marzo 2000, n. 2471; sez. III, 14 dicembre 2007, n. 26290 e 24 ottobre 2008, n. 25748), l’onere della prova dell’effettivo compimento di atti di gestione incombe sull’ente impositore (Cass. civ., sez. trib., 10 settembre 2009, n. 19486; Comm. trib. prov., Ancona, sez. II, 20 aprile 2015, n. 487; Comm. trib. reg., Genova, 9 febbraio 2015, n. 185; Comm. trib. prov., Cremona, 4 marzo 2014, n. 65; Comm. trib. prov., Reggio Emilia, 23 ottobre 2013, n. 191); infatti, chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente.
Ciò posto, secondo i giudici di legittimità, la dimostrazione dell’assunzione di un ruolo rappresentativo o gestorio dell’ente ovvero della mera titolarità della carica, non è di per sé sufficiente a fondare la responsabilità patrimoniale personale di cui all’art. 38 c.c., richiedendosi a tal fine la prova, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, che chi venga richiesto del pagamento abbia svolto concreta attività negoziale in nome e per conto dell’associazione stessa.