Può capitare a ciascuno di noi di trovarsi addebitate nelle fatture telefoniche ingenti somme di denaro per non meglio imprecisate connessioni internet, wap, dialer eccetera, partite accidentalmente dal proprio telefonino o magari mai effettuate o, in ogni caso, non desiderate e volute. E da parte sua la compagnia telefonica, senza colpo ferire, addebita tali somme, senza possibilità per il cliente di poter contestare o quantomeno visionare i tabulati.
Il Giudice del Tribunale di Pisa ha però pesantemente redarguito una compagnia telefonica, ordinandogli di restituire le importanti somme che aveva prelevato dal conto corrente del malcapitato utente.
Purtroppo il caso delle “bollette e/o fatture pazze” sempre più spesso campeggia sulle pagine dei quotidiani. Le fatturazione di servizi non voluti e non richiesti dagli utenti è infatti la principale piaga che affligge il mercato della telefonia in Italia. L’esplosione di questo fenomeno si è avuta nel 2003 quando a centinaia di famiglie, alle prese con le prime incerte connessioni ad internet, pervennero bollette a tre cifre per connessioni a numerazioni a pagamento con prefisso 709, di cui erano titolari alcune società concessionarie dette O.L.O.
Né le risibili sanzioni applicate dalla AGCOM nel 2004 (Delibere n. 327-328-329/CONS/04), né la revisione del piano di numerazione nazionale con Delibera n. 09/03/CIR con il reitero dei divieti, portarono alla diminuzione del fenomeno.
Dopo anni di prevaricazioni e qualche isolata sentenza di Giudici di Pace (Gdp Foggia 17.06.04; Gdp Benevento 27.08.04 e 04.09.05), molto poco a proprio agio con le con le norme del Codice delle Comunicazioni elettroniche e le Delibere della Autorità, il Ministero delle comunicazioni è intervenuto con un nuovo Regolamento ministeriale in materia di servizi audiotex e videotex che sostituisce l’ormai vetusto D.M. n. 385/95.
La nuova normativa, dopo le tante angherie subite dai consumatori potrebbe apparire l’atteso rimedio. Il decreto si caratterizza per il fatto che quale obbiettivo sembra avere non tanto l’eliminazione delle truffe, quanto il garantire delle truffe limitate quanto agli importi. Viene ribadita la necessità di informazioni chiare e trasparenti sui servizi a sovrapprezzo offerti dalle società, tramite una serie di informazioni obbligatorie.
Un sms inviato dal gestore sul cellulare del consumatore dovrebbe cioè spiegargli chiaramente la natura ed i costi del servizio da acquistare. La prestazione, e quindi il pagamento, non potrebbero essere fornite senza quello che il Ministero definisce “consenso espresso” o “consenso esplicito” del cliente.
Nulla di tutto ciò è stato invece attuato nei confronti del malcapitato cliente.
Ammesso e non concesso che accidentalmente l’utente abbia (per intenzione o anche per sbaglio) attivato tali costosissimi servizi, nessuno ha mai spiegato lui i costi dei ridetti inutili accessori né tantomeno egli ha mai prestato il suo consenso al riguardo.
Ed ancora: a seguito delle migliaia di denunce degli utenti e delle associazioni dei consumatori, il Garante della Privacy con una Delibera del 16.02.06 è intervenuto sulla materia dei servizi telefonici a pagamento, stabilendo che dal 31 Maggio 2006 i fornitori di servizi di comunicazione elettronica devono:
- a) indicare con precisione l’origine dei dati già nel corso della chiamata o comunicazione promozionale da parte di operatori e gestori di servizi di call center, a prescindere da una richiesta del destinatario;-
- b) sviluppare o integrare strumenti idonei ad identificare l’incaricato del trattamento dei dati che ha effettuato l’attivazione del servizio;-
- c) registrare subito presso il servizio di call center interno od esterno all’operatore la volontà manifestata dalla persona contattata che si opponga all’utilizzo dei dati per attivare il servizio proposto e/o per ulteriori promozioni, ed adottare contestualmente idonee procedure affinché tale volontà sia rispettata;-
- d) predisporre idonee misure organizzative per agevolare l’esercizio dei diritti degli interessati e riscontrare le richieste relative all’origine dei dati personali, fornendo anche gli estremi identificativi del rivenditore che ha attivato i servizi o le utenze non richieste o del soggetto che svolge per conto dell’operatore un servizio di call center.
Alla compagnia spetterebbe quindi l’onere probatorio di aver posto in essere le prescrizioni previste dalla summenzionata delibera.
Circa il valore probatorio da attribuirsi ad una fattura telefonica in caso di contestazione da parte del cliente delle somme ivi contenute, la terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 10313/2004) ha stabilito che la natura giuridica della convenzione di abbonamento telefonico è quella del contratto per adesione di stampo privatistico, anche se integrato da norme speciali (che prevedono il sistema delle tariffe a contatore per la contabilizzazione del traffico) e norme regolamentari (che prevedono la regola della contabilizzazione a contatore centrale). I Giudici di Piazza Cavour hanno così precisato che la conseguenza è che, in tema di riparto dell’onere probatorio, l’obbligo del gestore di effettuare gli addebiti di traffico sulla base delle indicazioni del contatore centrale non si può risolvere in un privilegio probatorio fondato sulla non contestabilità del dato recato in bolletta, sicché l’utente conserva il relativo diritto di contestazione ed il gestore è tenuto a dimostrare il corretto funzionamento del contatore centrale e la corrispondenza tra il dato fornito e quello trascritto nella bolletta, senza che spieghi, all’uopo, la scelta dell’utente di non chiedere il controllo del traffico telefonico, richiesta funzionale, in concreto, al conseguimento di finalità differenti.
La bolletta è infatti un atto unilaterale di natura meramente contabile (Cass. 847/86) e la stessa Corte Costituzionale (nelle sentenze 546/94 e 1104/98) ha posto in rilievo come il rapporto di utenza sia un servizio pubblico essenziale, ma soggetto al regime contrattuale di diritto comune, ed alle relative regole di adempimento e di prestazione secondo buona fede.
Ad abundantiam: “l’utente potrà superare la presunzione di veridicità della contabilizzazione, dimostrando, con prova libera, anche orale, che il consumo reale è inferiore a quello recato nella fattura” (Cass. Civ., Sez. III, sent. 2.12.02, n. 17014).
Con l’ovvia conseguenza che spetterà alla compagnia telefonica l’onere di provare e dimostrare che nel caso di specie il cliente ha realmente e consapevolmente effettuato in maniera volontaria e consapevole la mole di traffico telefonico fatturato.
Non dello stesso avviso il Tribunale di Pisa, il quale, intervenendo su uno dei numerosissimi casi, ha qualificato la fattispecie come un indebito oggettivo e per tale motivo ha spostato l’onere probatorio in capo all’attore.
Tuttavia, prosegue il Tribunale di Pisa, la giurisprudenza di merito prevalente, riconosce in capo all’operatore del servizio telefonico il dovere di buona fede di adoperarsi per tutelare l’interesse del suo cliente e quindi, in particolare, di consentirgli di monitorare con esattezza il traffico e la spesa da lui sostenuta e di avvisarlo in caso di spesa sproporzionata; circostanza invece non verificatasi.
Secondo il Giudice, tuttavia, l’onere probatorio in capo all’attore si esaurirebbe con la dimostrazione della mancata richiesta volontaria dei servizi.
L’attore, nel giudizio, tramite prova testimoniale, ha dimostrato la mancanza di avvisi sul display del telefono che indicassero le asserite connessioni.
Per tale motivo, la compagnia telefonica è stata condannata a restituire i denari prelavati dal cliente per servizi non richiesti e voluti dal titolare della SIM.
Tale sentenza potrebbe aprire le porte a richieste restitutorie di molti cittadini che si trovano in situazioni consimili.
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